L’invito del vescovo Cevolotto alla festa del Patrono Sant’Antonino: “Creiamo insieme una città ospitale”

"Credo sia un’urgenza progettare il recupero di quegli spazi abbandonati, in disuso, occupati fino a tempo fa da caserme". Sulla logistica: "Cosa possiamo chiedere perché il nostro territorio riceva parte del profitto dei loro investimenti?"

“Solo se rimaniamo radicati in Qualcuno che ci trascende possiamo vincere la paura. La paura è ciò che ci indebolisce, dal di dentro, da dentro di noi. Sant’Antonino protegga, custodisca e renda ospitale la nostra città”: sono le parole del vescovo mons. Adriano Cevolotto alla messa per la festa del Patrono di città e diocesi nella basilica di Sant’Antonino durante la quale è stato consegnato il Premio Antonino d’Oro alle monache Carmelitane a 350 anni dal loro arrivo a Piacenza.

Relazioni di qualità, non un “io isolato”

Nella sua omelia mons. Cevolotto ha sottolineato che il Patrono “indica ciò che deve animare ogni realtà presente nel territorio urbano, ossia la ricerca di un bene di tutti e per tutti”.

La strada – sintetizziamo il suo pensiero – è quella di offrire un’alternativa alla logica dominante nella cultura di oggi di un “io-isolato” che crea solitudini rivendicando solo diritti individuali e generando conflitti e nuova povertà in chi non ha voce. Al contrario sono le relazioni di qualità che ci plasmano in modo positivo.

Verso un ambiente, una città, un turismo ospitale

Tutto ciò si riflette anche sul contesto urbanistico: “vivere in spazi belli non è la stessa cosa che vivere in spazi degradati”. E ancora: “Dovrebbe essere interesse di tutti garantire una convivenza accogliente, ospitale”. Il che significa promuovere la qualità delle relazioni a partire soprattutto dai più deboli.

Vanno in questa direzione – ha sottolineato il Vescovo – i progetti espressione della cultura della cura del con-vivere e nati in seguito all’emergenza sanitaria della pandemia: “Insieme Piacenza”, con lo scopo di creare una rete di solidarietà, e “Energia in comune” per venire incontro all’aumento della spesa per le utenze. Anche sul piano culturale ci si sta muovendo in questa direzione.

L’interrogativo di fondo è come creare un ambiente, una città, un turismo ospitale che combattano il nemico più pericoloso, cioè la paura.

Come si è vissuta l’ospitalità verso i profughi ucraini, occorre adesso capire come fare altrettanto con persone o famiglie immigrate, con regolare permesso di soggiorno e con contratti di lavoro, le quali non riescono a trovare casa. Lo stesso fenomeno riguarda anche lavoratori precari, le categorie più fragili e gli studenti universitari che faticano a trovare casa e a prezzi sostenibili. “La fiducia verso un luogo e verso il futuro si misura anche sulla percezione di trovare posto, che ci sia un posto anche per me. La saturazione di un ambiente allontana”.

La riqualificazione urbanistica

Il Vescovo ha indicato alcune piste di lavoro, consapevole che trovare le soluzioni non è mai semplice: “Abbiamo una città bella e ricca di storia, di tradizione, di cultura. Credo sia un’urgenza progettare, in uno sforzo condiviso e trasversale, il recupero di quegli spazi abbandonati, in disuso, occupati fino a tempo fa da caserme. Una città deve essere ospitale anche nella riqualificazione urbanistica”. Spazi che non possono essere dedicati solo ad attività commerciali. Mons. Cevolotto ha invitato tutta la comunità a pensare insieme e allarga la riflessione al mondo della logistica: “Che cosa possiamo chiedere perché il nostro territorio possa ricevere parte del profitto dei loro investimenti?”.

Senza uno sguardo su Dio, il mondo collassa

Al termine dell’omelia il Vescovo ha sottolineato il significato della consegna del Premio Antonino d’Oro 2023: la comunità monastica della Carmelitane è a servizio, così come l’altra comunità monastica benedettina, del cuore di ogni esistenza: “È il richiamo forte, nel «già» del tempo in cui viviamo, di un «non-ancora» che è una promessa senza la quale l’esistenza collassa su se stessa”.

L’Antonino d’Oro alle monache Carmelitane

Durante la celebrazione la sindaca Katia Tarasconi ha offerto il Cero a nome dell’Amministrazione comunale in onoro del Patrono.

Dopo la benedizione conclusiva, il Vescovo, introdotto dal parroco don Giuseppe Basini, presidente del Capitolo dei Canonici di Sant’Antonino, ha consegnato alle monache Carmelitane del monastero di San Lazzaro a Piacenza il Premio Antonino d’Oro. Erano presenti la priora suor Maria Francesca Eugenia del Cuore di Gesù, suor Maria Paola di Cristo Re, suor Maria Cecilia di Gesù Amore e suor Antonella Teresa Sincletica della Carità di Cristo.

Don Basini ha sottolineato che la scelta di vita delle Carmelitane non è una fuga dal mondo, ma un richiamo a tutti di ciò che essenziale, la Parola di Dio da accogliere e fare diventare vita nel cammino quotidiano.

Il grazie delle Camelitane

“Questo premio non è solo per noi, ma è dedicato anche a tutti voi, perché una comunità carmelitana sussiste, cresce, si plasma nel territorio, nelle relazioni con la Chiesa e con la Città che si costituiscono in un circolare di doni che dà vita”. È il grazie espresso dalla priora suor Maria Francesca. “Grazie a voi – ha aggiunto -, alla Chiesa di Piacenza, alla Città di Piacenza per averci accolte e per accoglierci. Grazie a tutte quelle nobildonne che nel 1600 hanno desiderato portare a Piacenza l’esperienza delle Carmelitane Scalze e ci hanno provato fino a riuscirci; e grazie ai tanti che, nei secoli, ci hanno sostenute in ogni modo per mantenere viva la presenza del Carmelo a Piacenza. Grazie a tutti i legami che continuano a stabilirsi con noi e che ci rendono quello che siamo, che fanno di noi la comunità che vedete”.

“La clausura non è una chiusura”

“La clausura – ha detto ancora suor Maria Francesca – non è una chiusura, ma un’apertura all’infinito nel giocarsi nelle relazioni. Siamo in clausura in continua ricerca di Dio, che è la più profonda verità di noi stesse e di tutta l’umanità. Non siamo una parte speciale nella Chiesa e nel mondo: ci sentiamo parte della Chiesa e del mondo, povere e fragili, a volte anche incredule. Ed è proprio a partire dalle nostre fatiche che accompagniamo l’umanità. Siamo al Carmelo perché il mondo è in fiamme, come diceva Teresa e come si può dire di ogni epoca. È bello e significativo, allora, ricevere un premio come comunità. Fa percepire, a noi prima di tutto, il frutto che le relazioni tessute ogni giorno all’interno del monastero, a volte anche con fatica, danno: un frutto che, pur nel nascondimento, si vede, che arriva, che fa bene, prima di tutto a noi, ma anche agli altri”.

Il 30 settembre don Beotti diventerà beato

Al termine, mons. Cevolotto ha annunciato la data della beatificazione di don Giuseppe Beotti, sacerdote piacentino ucciso dai nazisti a Sidolo il 20 luglio 1944, di cui papa Francesco ha riconosciuto il martirio. La celebrazione avrà luogo nella Cattedrale di Piacenza sabato 30 settembre alla presenza del cardinal Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero vaticano delle Cause dei santi.

L’ OMELIA PER SOLENNITÀ di S. ANTONINO – 04.07.2023

Ap 12,10-12a

2Cor 4,5-12

Gv 12,24-26

“Annualmente S. Antonino raccoglie, come Patrono della città oltre che della diocesi, la comunità cristiana e quella civile. Ringrazio le autorità presenti che rappresentano così il convergere di tutte le realtà istituzionali verso un riferimento che storicamente invita ad oltrepassare ogni (legittima) differenza. Idealmente il Patrono indica ciò che deve animare ogni realtà presente nel territorio urbano, ossia la ricerca di un bene di tutti e per tutti. L’accento oggi è posto sulla città, sull’essere comunità. La città, a motivo di una cultura sempre più pervasiva dell’“io-isolato”, rischia di ridursi ad un puro recipiente che offre dei servizi il più efficienti possibili. Ma un io-isolato è destinato a patire una solitudine inesorabile. In questa cultura l’identità di ciascuno è immaginata oltre, fuori delle relazioni che, al contrario, ci plasmano. Perché ciascuno è il frutto non solo delle relazioni familiari, ma anche dell’ambiente nel quale vive. E della qualità di tali relazioni. Non è affatto un discorso teorico. È molto concreto: il modo di comprenderci e la responsabilità di prenderci cura affondano qui le loro radici. Non qualsiasi contesto familiare, di vicinato, non qualsiasi ambiente scolastico o aggregativo, ecclesiale o ‘politico’ (nel senso che riguarda la polis) produce lo stesso effetto. Ma anche il contesto urbanistico fa la sua parte: vivere in spazi belli non è la stessa cosa che vivere in spazi degradati.

Quando al contrario prevale l’idea di un “Io” che si costituisce ‘per contro proprio’, si è sollecitati a rivendicare diritti individuali sottovalutando che per questa strada si rischia di alimentare conflitti e di generare povertà e debolezze in chi non ha voce o è socialmente, culturalmente e politicamente meno forte.

Dovrebbe essere interesse di tutti garantire una convivenza accogliente, ospitale.

Potremmo far nostra l’espressione che s. Paolo usa per dire come la vita di Gesù, la sua potenza in noi è come un “tesoro in vasi di creta”. Un’immagine efficace anche per pensare che la grandezza della nostra convivenza, che è un tesoro che ci arricchisce, è contenuta in qualcosa di fragile, di vulnerabile. Una tale consapevolezza ci obbliga ad impegnarci tutti a difendere e a custodire la dinamica sociale, civile della nostra città. Soprattutto promuovendo la qualità delle relazioni. A partire dai più deboli.

Sono testimone, e oggi colgo l’occasione per metterlo in evidenza, che l’emergenza sanitaria ha avviato una rete tra vari soggetti del nostro territorio che ha permesso, con il progetto “Insieme Piacenza”, di creare una rete di solidarietà. Questo progetto sta diventando una realtà stabile, prova ne sia il fatto che senza particolari difficoltà si è dato vita al progetto “Energia in comune” (riconosciutoci come esemplare a livello nazionale) per venire incontro all’aumento della spesa per le utenze. Lo stesso sta avvenendo anche per iniziative di promozione culturale. E la cosa interessante è il coinvolgimento alla rete di altri soggetti. Possiamo dire che assistiamo ad un circolo virtuoso a favore di una convergenza sempre maggiore nel voler contribuire a sviluppare questa cultura della cura del con-vivere.

Sono molte le sfide che, con competenze specifiche, ci attendono in vista di creare un ambiente, una città, un turismo ospitale, che combatta il nemico più pericoloso, vale a dire la paura che rende il vaso sempre più debole. Ed insieme anche il tesoro si depaupera.

Attorno al tema dell’ospitalità potremmo interrogarci tutti. Perché l’accoglienza, che ci fa ospitali, non può essere selettiva. Certamente l’ospitalità verso i profughi ucraini si è espressa in forme molte belle e importanti. Ma devono preoccuparci i segnali che indicano le resistenze all’ospitalità. La cosa sta diventando sempre di più un’emergenza. Da tempo persone o famiglie immigrate, con regolare permesso di soggiorno e con contratti di lavoro non riescono a trovare casa. La cosa si è poi allargata ai lavoratori precari o alle categorie più fragili. Ora sta raggiungendo gli studenti universitari che faticano a trovare casa e a prezzi sostenibili. Mi chiedo se tra i motivi che spingono molti giovani ad andare all’estero non ci sia anche la percezione che lì è più facile mettere su casa. Magari trovando ospitalità in famiglia.

Lo sappiamo che la fiducia verso un luogo e verso il futuro si misura anche sulla percezione di trovare posto, che ci sia un posto anche per me. La saturazione di un ambiente allontana.

Potremmo allargare il discorso ai più piccoli, ai bambini. Agli studenti. Quali ospitalità assicuriamo per le loro attività, per il tempo libero…?

Ma desidero richiamare un’altra attenzione. Abbiamo una città bella e ricca di storia, di tradizione, di cultura. Credo sia un’urgenza progettare, in uno sforzo condiviso e trasversale, il recupero di quegli spazi abbandonati, in disuso, occupati fino a tempo fa da caserme. Una città deve essere ospitale anche nella riqualificazione urbanistica. Siamo consapevoli che la soluzione non è semplice, ma dobbiamo avvertire la cosa come necessaria. Se non c’è motivo, non possono permanere dei “limiti invalicabili”. Questi spazi recintati devono essere aperti e abitabili e non solo da attività commerciali. Il concorso deve essere di tutti. Penso in particolare a quelle realtà che sono approdate nel nostro territorio con gli insediamenti della logistica. Che cosa possiamo chiedere perché il nostro territorio possa ricevere parte del profitto dei loro investimenti?

Sant’Antonino ci consegna la responsabilità della cura di un tesoro nel quale c’è la ricchezza del patrimonio di fede e di cultura civica che riceviamo. Ogni realtà umana, storica è ‘vaso di creta’, ma non si dà tesoro che in questo modo.

E ritengo una straordinaria coincidenza che l’Antonino d’oro quest’anno sia consegnato alla comunità monastica della Carmelitane. Esse sono a servizio, così come l’altra comunità monastica benedettina, del cuore di ogni esistenza. È il richiamo forte, nel ‘già’ del tempo in cui viviamo, di un ‘non-ancora’ che è una promessa senza la quale l’esistenza collassa su sé stessa. Implode. Perché solo se rimaniamo radicati in Qualcuno che ci trascende possiamo vincere la paura che, come è stato scritto in questi giorni, sembra essere la profonda e vera minaccia alla speranza e perciò alla vita. La paura è ciò che ci indebolisce, dal di dentro, da dentro di noi. S. Antonino protegga, custodisca e renda ospitale la nostra città. Tutta intera.
Mons. Adriano Cevolotto – vescovo di Piacenza-Bobbio”.

 

Solennità di Sant’Antonino – L’intervento delle monache Carmelitane

Il testo completo dell’intervento della priora suor Maria Francesca Eugenia del Cuore di Gesù.

“Desidero innanzitutto rivolgere il mio saluto e il mio grazie a lei, carissimo Vescovo Adriano, a don Giuseppe e ai Canonici di Sant’Antonino, che oggi ci accogliete in questa Basilica del nostro Santo Patrono, Sant’Antonino.

Saluto la Signora Katia Tarasconi, nostro Sindaco, tutte le autorità civili e militari e tutti voi qui presenti.

Un pensiero anche a tutta la Città di Piacenza, in questo giorno di festa.

È bello per me oggi essere qui, con alcune mie Sorelle: rappresentiamo anche le Sorelle rimaste in Monastero e tutte le Carmelitane Scalze che dal 1673 ad oggi hanno servito la nostra Chiesa diocesana e il nostro territorio. È grazie a chi ci ha precedute e ha speso la propria vita prima di noi per la crescita del frutto che il nostro Monastero è, che è giunta a noi la possibilità di essere Carmelitane Scalze qui a Piacenza.

Quando don Giuseppe mi ha comunicato che noi Monache avremmo ricevuto l’Antonino d’oro 2023, la prima reazione è stata di incredulità, poi è seguito lo stupore: noi Monache di clausura dovevamo ricevere un riconoscimento per una vita di nascondimento e di preghiera lunga 350 anni.

Tutto è iniziato quel lontano 19 marzo 1673, quando Madre Anna dell’Ascensione, Madre Vittoria di Santa Teresa e la piacentina Madre Francesca del Santissimo Sacramento, tre Monache provenienti dal Carmelo di Modena, davano avvio nella nostra città di Piacenza all’esperienza monastica fondata nel 1562 ad Avila da Santa Teresa di Gesù.

Santa Teresa era entrata giovanissima nel Monastero dall’Incarnazione di Avila. In esso risiedevano più di 150 Monache, e le nobili avevano la possibilità di mantenere il loro stile di vita, tra cui la possibilità di avere la servitù. L’Incarnazione era insomma un gran villaggio.

Teresa, fondando il primo Carmelo Scalzo di San Giuseppe e poi altri 16 Monasteri, ha desiderato per le Carmelitane Scalze delle piccole comunità formate da 13 Sorelle. Solo dopo, con l’afflusso di tante vocazioni, il limite è diventato di 21 membri, come è ancora oggi. Questo perché Teresa voleva che si creasse un clima di famiglia, di uguaglianza tra le Sorelle, senza distinzione tra ricche e povere. Un clima di amicizia tra le Monache, dunque, da fondarsi nell’amicizia con l’umanità di Cristo, “con Colui dal quale ci sentiamo amate”.

Così nei secoli fino ad oggi. Questa duplice amicizia, con le Sorelle e con il Signore, comporta il percorrere un cammino verso la libertà per divenire sempre più vere e per far sì che cresca un clima di vera fraternità, sempre in divenire e mai esente da fatiche.

Da qui si comprende bene che la clausura non è una chiusura, ma un’apertura all’infinito nel giocarsi nelle relazioni. Siamo in clausura in continua ricerca di Dio, che è la più profonda verità di noi stesse e di tutta l’umanità.

Non siamo una parte speciale nella Chiesa e nel mondo: ci sentiamo parte della Chiesa e del mondo, povere e fragili, a volte anche incredule. Ed è proprio a partire dalle nostre fatiche che accompagniamo l’umanità. Siamo al Carmelo perché il mondo è in fiamme, come diceva Teresa e come si può dire di ogni epoca.

È bello e significativo, allora, ricevere un premio come comunità. Fa percepire, a noi prima di tutto, il frutto che le relazioni tessute ogni giorno all’interno del Monastero, a volte anche con fatica, danno: un frutto che, pur nel nascondimento, si vede, che arriva, che fa bene, prima di tutto a noi, ma anche agli altri.

Ci riempie di gioia poter vedere che il nostro lavoro e il nostro tesoro, quello in cui mettiamo ogni giorno tutte noi stesse, diventa un tesoro -e anche un lavoro!- anche per gli altri.

Generare una comunità mettendo a disposizione i propri doni, affidando le proprie fragilità, è generare qualcosa di bello per tutti. Qualcosa di più grande di noi, qualcosa che non dipende interamente da ciascuna di noi, eppure qualcosa che senza il contributo di ognuna non sarebbe quello che è.

Questo premio non è solo per noi, ma è dedicato anche a tutti voi, perché una comunità carmelitana -come tutte le comunità- sussiste, cresce, si plasma nel territorio, nelle relazioni con la Chiesa e con la Città che si costituiscono in un circolare di doni che dà vita.

Quindi grazie a voi, alla Chiesa di Piacenza, alla Città di Piacenza per averci accolte e per accoglierci. Grazie a tutte quelle nobildonne che nel 1600 hanno desiderato portare a Piacenza l’esperienza delle Carmelitane Scalze e ci hanno provato fino a riuscirci; e grazie ai tanti che, nei secoli, ci hanno sostenute in ogni modo per mantenere viva la presenza del Carmelo a Piacenza. Grazie a tutti i legami che continuano a stabilirsi con noi e che ci rendono quello che siamo, che fanno di noi la comunità che vedete.

Ancora grazie e sentiteci sempre presenti, a modo nostro, nella vita e nel servizio della nostra Città e della nostra Chiesa”.

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