Tutti i segreti della picula ad cavall (e non solo) raccontati da Camillo Ghioni

Da quasi cento anni la famiglia gestisce la macelleria equina di Caorso. Un’esperienza del settore che è approdata in radio dove ha raccontato dettagli poco noti del piatto piacentino

Da destra Gian Luca Barbieri, direttore Confcommercio Piacenza, Camillo Ghioni, e Lorenzo Montanari, Funzionario Confcommercio).

Inauguriamo una nuova rubrica intitolata l’Azienda del Mese e nata dalla collaborazione editoriale fra PiacenzaOnline e Confcommercio Piacenza. Ogni volta il nostro giornale presenterà ai lettori una realtà commerciale piacentina, iscritta all’Unione Commercianti,  che sia una bottega storica o che proponga prodotti o servizi di particolare interesse. Un modo per far conoscere da vicino realtà imprenditoriali che contribuiscono a rendere unico il nostro tessuto locale e la nostra imprenditoria.

La picula ad cavall è stata protagonista di Rockwok, trasmissione radiofonica in onda sull’emittente bolognese “Radiabo”. Ad essere intervistato dai conduttori del programma dedicato “a cibo, vino, musica arte e dintorni” è stato Camillo Ghioni,53 anni, titolare della macelleria equina Corinna di Caorso, una bottega storica aperta nel 1926 e che fra due anni arriverà a spegnere 100 candeline. Fondata dal nonno Camillo, da cui ha preso il nome, l’attività è giunta oggi alla terza generazione e l’attuale titolare ha voluto che continuasse a chiamarsi Corinna, come sua nonna.

«E’ stata lei a insegnarmi tanto, la mia prima guida, fin da quando ero piccolo – racconta Ghioni. – La bottega l’ha aperta mio nonno poi è passata a mio padre ed infine a me. Un negozio come questo in un paese piccolo è qualcosa in più di una semplice attività famigliare. Io vedo la comunità, i miei clienti un po’ come se fossero la mia famiglia. Sono cresciuto con tutti loro. Proprio per questo legame con il territorio, sono anche referente di zona per Confcommercio».

Quindi è stato naturale per lei raccogliere il testimone e portare avanti la tradizione di famiglia.

«Mi sono sentito in dovere di far proseguire questa attività che a modo suo è portatrice di un pezzo di cultura piacentina. Le tradizioni una volta venivano trasmesse dai nonni ai nipoti. Oggi, purtroppo, non è sempre così. Io però, nel mio piccolo, tramando qualcosa di fortemente radicato nella storia locale».

A proposito di storia, perché a Piacenza, ma anche a Parma si è diffuso l’uso a tavola della carne equina, che in tante altre zone non viene consumata?

«Fu nel periodo napoleonico che diede impulso, anche da noi,  al consumo di carne equina che in Francia era già molto apprezzata. Il Ducato di Parma e Piacenza, del resto, aveva avuto forti influenze francesi nel periodo borbonico. Con la conquista da parte di Bonaparte questi legami culturali ed anche gastronomici si rafforzarono e probabilmente l’uso di carne equina si ampliò. Piacenza in particolare è sempre stato un importante nodo viario e poi militare oltre che un’area agricola. I cavalli venivano usati per trainare i carri, venivano usati dagli eserciti e nei campi. Quando diventavano troppo vecchi o si ferivano gravemente venivano macellati. Parliamo di epoche in cui la carne era normalmente piatto “da ricchi”. La carne equina era più alla portata e veniva consumata in tanti modi».

Veniamo proprio ai modi di preparare la carne. Oltre alla carne cruda di cavallo, che a Parma chiamano “pesto” (caval pisst) a Piacenza c’è appunto la picula.

«I piacentini la conoscono bene. Ai bolognesi invece ho spiegato che la piccola è una specie di ragù fatto con carne macinata di seconda scelta. Veniva preparata con il grass pist, un condimento a base di grasso di maiale, prezzemolo e aglio a cui si aggiungevano la carne, un po’ di vino e del pomodoro. La cottura era molto lunga, avveniva in pentoloni di rame anche per un intero giorno. Questo portava la carne ad avere una grana piccola da cui, secondo alcuni prese il nome il piatto. Altri invece propendono per una diversa origine. La piccola era il piatto con cui si rifocillavano le persone che trasportavano le merci da un paese all’altro. Per sfamarsi, anche al mattino presto, prendevano una razione piccola di carne che costava un scud (5 lire). Era l’equivalente antico delle barrette energetiche! C’è chi sostiene che il nome picula possa avere origine dalla dimensione della porzione, ma io preferisco e ritengo più credibile la prima versione. Oggi nella ricetta c’è anche il peperone ma all’epoca non era parte del piatto: veniva conservato in damigiane sott’aceto ed era consumato come verdura di accompagnamento».

Uno dei tanti piatti poveri piacentini.

«La gente era mediamente povera, si arrangiava con quello che aveva e per questo anche i piatti erano semplici ma sostanziosi e gustosi. Tradizioni che cerchiamo di difendere ma che a volte vanno perse a causa dei diversi stili di vita di oggi».

La carne di cavallo si vende ancora? Piace alle generazioni più giovani?

 «I gusti dei giovani sono un po’ cambiati. A tavola è arrivata anche una cucina più gourmet, più moderna. Però il cavallo ha ancora un suo perché. Io stesso cerco di proporlo in maniera diversa, ad esempio all’interno di piadine, come se fosse un wrap messicano oppure sotto forma di spiedini. Siamo anche riusciti a conquistare clienti fra le persone di origine straniera che abitano in zona. Si sono avvicinati a questa carne con una certa diffidenza, non conoscendola, ed oggi la apprezzano e consumano. Nella trasmissione radiofonica a cui ho partecipato ho fatto un po’ di promozione dei nostri piatti, dei nostri vini, della nostra cultura eno-gastronomica piacentina».

Il suo negozio è stato premiato da Confcommercio in occasione degli 80 anni e lo sarà di nuovo nel 2026 per il centenario. Crede che quando andrà in pensione ci sarà una quarta generazione di Ghioni dietro a quel banco?

«Ho due figli maschi, uno di sedici ed uno di nove. Li ho cresciuti a cavallo ed infatti il primo è saltato fuori bello altro, longilineo».

Uno spot vivente delle virtù del cavallo …

«Si la posso “vendere” così! Però lui è troppo tecnologico. Temo che se mai dovesse proseguire l’attività si metterebbe a stampare bistecche in 3D».

Un sacrilegio ….

«Altroché! E’ presto per dirlo ma vedo più adatto il piccolino, che non per nulla ha anche un fisico più simile al mio. Lui è un vero goloso ed è uno dei miei migliori clienti. Sulla carne sintetica non mi esprimo. Io credo che la tecnologia possa essere una risorsa da usare per migliorare la qualità, per diminuire l’impatto degli allevamenti sull’ambiente, non certo per sostituire gli alimenti tradizionali».

Articolo precedente«Papa Pacelli salvò moltissimi ebrei»
Articolo successivoKickboxing, per la Yama Arashi venti medaglie ai campionati regionali a Cattolica
Carlandrea Triscornia
Giornalista professionista si è laureato in giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Ha inoltre ottenuto il Diploma in Legal Studies presso la Cardiff Law School - Università del Galles (UK). Ha iniziato la sua carriera come collaboratore del quotidiano di Piacenza Libertà. Dopo un corso di giornalismo radiotelevisivo ha svolto uno stage presso l’emittente Telereggio divenendone prima collaboratore e poi redattore. Successivamente ha accettato l’incarico di direttore generale e direttore editoriale di Telecittà emittente regionale ligure, dove ha lavorato per tre anni. E’stato quindi chiamato dalla genovese Videopiù ad assumere il ruolo di responsabile delle sedi regionali di SkyTG24 affidate in outsourcing alla stessa società. Trascorsi cinque anni è rientrato nella nativa Piacenza avviando una attività imprenditoriale che lo vede tuttora impegnato. Ha fondato PiacenzaOnline, quotidiano di Piacenza di cui è direttore responsabile. Ha collaborato con l’Espresso e con Avvenire oltre che con Telemontecarlo - TMC News come corrispondente dall’Emilia ed ha lavorato come redattore presso Dodici-Teleducato Parma. Appassionato di Internet e di nuove tecnologie parla correntemente inglese. Sposato, ha due figli.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il commento
Inserisci il tuo nome