E’ scomparso Pietro Amani, piacentino, l’ultimo sopravvissuto italiano dei Gulag sovietici

Faceva parte degli italiani dell’Armir fatti prigionieri in Russia ed internati nel campo di concentramento di Karaganda

E’ venuto a mancare Pietro Amani, 98 anni. Ad annunciarlo i figli Alfredo e Paolo.

Il piacentino era l’unico italiano ancora vivente fra coloro che furono imprigionati in un gulag sovietico. Lui vi rimase per tre anni e riuscì a sopravvivere e rientrare a casa.

Faceva parte degli italiani dell’Armir fatti prigionieri in Russia ed internati nel campo di concentramento di Karaganda (oggi, nel Kazakistan).

La sua vicenda è raccontata in un diario pubblicato un paio di anni fa dalla Banca di Piacenza.

Pietro Amani, residente alle porte di Piacenza, era un fante dell’82° Reggimento Fanteria, Divisione Torino (la famosa Taurinense). Venne catturato il giorno di Natale del 1942 e liberato – dopo cammini e lavori forzati a non finire – a settembre del 1945. Il viaggio per tornare a casa – in treno, via Berlino, dove i prigionieri furono consegnati agli Alleati che li rifocillarono, Francoforte e Brennero – durò circa 3 mesi, per il tratto italiano con l’intervento della Croce rossa di Piacenza. Nel suo Diario, Amani parlava di alcuni italiani prigionieri con lui: il piacentino “ten. Girometta” di Castelsangiovanni, Lodovico Botti di Piacenza città e Alfredo Trabucchi di Pontedellolio; il milanese “Vergani”; il siciliano di Marsala “Patti”, il romano “Fumanti”.

Il gulag kazako di Karaganda dove fu richiuso Amani era vasto come la Lombardia e il Piemonte messi insieme. Lì, negli anni Quaranta del ‘900, furono internati gli italiani residenti in Crimea e, in un secondo tempo, anche la gran parte dei soldati italiani dell’Armir (circa 20mila) catturati dall’Armata rossa durante la disastrosa ritirata: qui in Italia furono considerati dispersi, a parte le poche centinaia di fortunati che riuscirono a tornare miracolosamente a casa alla fine degli anni Quaranta, fra cui il piacentino Amani .

Amani raccontò toccanti momenti della sua personale vicenda. Come quando seppe da un medico del gulag che essendogli scomparsa la febbre tutto in un colpo, aveva le ore contate. O come quando dovette viaggiare per quattro giorni su una slitta trainata da buoi e condotta da una contadina russa, insieme a 6 commilitoni (“praticamente, sistemati uno sull’altro; la slitta non arrivava neanche a un metro e mezzo per due”).

 

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