Da Report un quadro desolante di come si è gestita la crisi Covid -19 in varie parti d’Italia

La puntata si è occupata anche di Piacenza: intervistato il direttore generale dell'Ausl Baldino che ha (indirettamente) risposto alla testimonianza di un'infermiera ospedaliera infettatasi

E’ un quadro desolante quello emerso dalla puntata di questa sera di Report (Rai 3) sull’emergenza Coronavirus. Mancanza di mascherine, tute di protezione inadeguate, ospedali con procedure non precise per la gestione del Covid -19, errori nella sanificazione delle ambulanze.

Da nord a sud si ha la percezione che, al di là della facciata di efficienza, le cose non vadano per niente bene e che medici ed infermieri si trovino in molte regioni ed in molti ospedali ad affrontare la guerra contro il virus con armi inadeguate e spuntate.

Si è raccontato di aziende sanitarie del sud Italia dove al posto delle tute adatte per affrontare il rischio biologico sono state fornite semplici tute bianche da imbianchino utili per trattenere la polvere e poco più. Ed ancora sanitari a cui le tute sono state fornite ma che sono erano privi di calzari e se li sono “inventati” utilizzando sacchi della spazzatura. Dalle testimonianze raccolte è emerso come a medici ed infermieri di tanti ospedali nessuno abbia fatto corsi per insegnare come indossare e togliere i Dpi correttamente, rischiando di vanificare glli effetti protettivi degli stessi.

Report ha anche mandato in onda l’intervista al medico di Codogno a cui si deve l’intuizione della positività del paziente uno, il giovane Mattia. Una positività scoperta in sostanza perchè il dottore non si è fermato ai protocolli ministeriali ed alle relative domande (sei stato recentemente in Cina?) ma ha fortunatamente messo in gioco la propria competenza medica.

Non è mancato un focus sulle condizioni disastrose della sanità di parti del meridione con enormi sprechi, ospedali finiti e mai aperti. Se il Covid -19 ha messo in crisi sistemi sanitari come quelli della Lombardia, del Veneto e dell”Emilia Romagna c’è da augurarsi che le misure contenitive impediscano al virus di avere la stessa diffusione anche al sud perchè gli effetti rischierebbero di essere disastrosi.

Il caso Piacenza

L’inchiesta era partita proprio da Piacenza che negli ultimi giorni sta attirando l’attenzione dei media nazionali a causa dell’alto numero di morti e positivi. Chi si aspettava grandi rivelazioni rispetto a quanto era già stato anticipato in mattinata da Repubblica è rimasto fondamentalmente deluso: nessuno scoop clamoroso nè prove concrete rispetto alle tesi propugnate dal programma.

Primo ad essere intervistato Michele Marinello, responsabile del forno crematorio di Piacenza, che ha sottolineato lo scoramento davanti alle tante bare presenti ed alla difficoltà di gestione delle stesse: “evidentemente la situazione crea un sovra – deposito anomalo, che ci sta portando in una fase di emergenza”. Si è parlato anche delle celle frigorifere portate dall’esercito per tamponare la situazione e dare una collocazione provvisoria ai defunti.

Il servizio è passato alla parte già anticipata oggi da Repubblica a cui si è aggiunta un’intervista al direttore generale dell’Ausl di Piacenza  Luca Baldino: “abbiamo 200 operatori positivi al Coronavirus – ha ammesso Baldino –  su un totale di 3.600, qualcuno in condizioni abbastanza gravi”. Un numero che lo stesso direttore ha ammesso essere elevato.

La parola è andata ad un’infermiera dell’ospedale, anonima e con la voce travisata, secondo cui, almeno inizialmente, non si sarebbero utilizzati i Dpi nel modo corretto e gli operatori non sarebbero stati protetti a sufficienza “chi indossava la mascherina durante il turno – ha affermato l’infermiera – veniva ripreso perchè gli veniva detto che non c’era bisogno di indossarle, non dovete creare allarme, non dovete spaventare i pazienti e i loro famigliari”.  Frasi che secondo l’intervistata sarebbero state dette al personale da un coordinatore.

L’infermiera ha raccontato di aver iniziato a star male il 9 marzo e di aver richiesto subito il tampone ma le sarebbe stato risposto che non aveva i requisiti per farlo perchè non aveva difficoltà respiratorie. La sanitaria – secondo la testimonianza rilasciata a Report – aveva richiesto il tampone perchè era entrata in contatto con due pazienti gravi, uno dei quali vomitava e stava molto male (e che si è poi saputo essere entrambi positivi). La donna ha dichiarato di aver lavorato probabilmente per nove giorni essendo positiva”.

Il direttore generale Baldino interpellato sul fatto specifico ha smentito alcune delle affermazioni dell’infermiera “Noi non abbiamo mai dato indicazioni di non indossare la mascherina perchè si spaventava la gente. E’ vero che abbiamo invece dato indicazioni di usare la mascherina nel modo e con le modalità appropriate e soprattutto in un contesto in cui l’approvvigionamento dei dispositivi era molto difficile”.

L’infermiera ha fatto capire che probabilmente ha contratto il Coronvirus per aver curato pazienti infetti, per giorni, indossando solo una mascherina chirurgica. “Tre quarti degli infermieri a casa – ha testimoniato -non hanno mai avuto un tampone”.

Luca Baldino ha però ribattuto di avr seguito “fin da subito quelle che erano le indicazioni nazionali e regionali sui dispositivi di protezione individuali. La maschetrina chirurgica – ha affermato – in alcune situazioni è assolutamente indicata. Quando gli operatori sanitari si contagiano … possono anche essersi contagiati fuori ma anche dentro. Può accadere che uno si infetti in ospedale. Noi siamo riusciti a dare i dipositivi previsti dalla norma ai nostri infermieri”.

L’intervistatore ha colto di sprovvista Baldino quando gli ha chiesto quanti sanitari sono  fino ad ora stati  sottoposti a tampone, informazione che il direttore generale ha ammesso di non sapere “quanti tamponi sono stati fatti al personale? Questo non lo so. Ma è inutile farne a migliaia se poi i laboratori non riescono a processarne più di 200 o 300 al giorno”.

(Proprio la settimana scorsa il commissario Venturi avesse detto che i sanitari sarebbero stati sottoposti in massa e rapidamente a tamponi ndr).

Il caso delle cliniche

Report è passato ad occuparsi della clinica Piacenza e Sant’Antonino ed ha fatto ascoltare un’intervista telefonica al dottor  Mario Sanna, il proprietario delle cliniche, che non ha risposto alle domande del giornalista “Se l’intervista è una cosa seria la incontro, se volete fare dei pettegolezzi  io non sono disposto a niente, io sono uno scienziato”.

“Non so come la definisce lei se è scienza o coscienza a me interessa la salute pubblica ha risposto l’intervistatore”.

“La salute pubblica – ha ribattuto Sanna – noi la stiamo già facendo perché abbiamo dato 170 posti letto all’ospedale che ce l’ha chiesto, di coronavirus”. Davanti all’insistenza del giornalista che chiedeva informazioni su quanto avvenuto nelle cliniche il dottor sanna, alla fine, ha riattaccato.

La puntata è quindi proseguita con la parte già anticipata questa mattina e con l’ipotesi che in realtà Mattia, il giovane di Codogno, non fosse il paziente uno ma che fosse invece stato un anziano ricoverato presso la clinica Piacenza. Una tesi però che non viene “dimostrata” fino in fondo.

Prima di spostare le telecamere su altri territori del nostro paese Report ha anche parlato dei 40 casi di polmoniti particolarmente virulenti e registrate a Piacenza a gennaio.

Nuovo articolo di Selvaggia Lucarelli

Sempre nella serata di ieri invece la giornalista Selvaggia Lucarelli  ha pubblicato sul The Post Internazionale (TPI) la seconda parte della sua inchiesta sulle cliniche di proprietà del dottor Sanna, aggiungendo nuove testimonianzze di sanitari e parenti delle strutture piacentine.

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