L’avv. Dattilo: «Le lastre rotte in piazza Cavalli sono solo “mattonelle” moderne. Il vero danno fu fatto 14 anni fa»  

Il legale piacentino condusse una battaglia legale contro la decisione della giunta Reggi di sostituire le pietre settecentesche con altre molto più sottili e di colore differente e rilancia un’idea che restituirebbe alla piazza la sua integrità

Sembrerebbe quasi che il destino abbia voluto condannare l’avvocato Salvino Dattilo ad una pena dantesca, ispirata alla legge del contrappasso. La finestra del suo studio legale infatti affaccia su piazza Cavalli e su quelle lastre di granito che, nel 2009, la giunta Reggi decise di sostituire parzialmente con nuove, similari, creando l’effetto scacchiera contro cui il legale piacentino si batté strenuamente anche in tribunale.

Per beffarda ironia della sorte, qualche tempo dopo la sua battaglia contro quelle che ritenne essere “le pietre dello scandalo” trasferì il suo ufficio da via Scalabrini a via Mazzini, con vista proprio su quel selciato “animalier” che si è venuto a creare e che il tempo (contrariamente a quanto fu promesso) non ha uniformato, anzi.

Leggendo sui giornali della rottura e scheggiatura di alcuni lastroni “moderni” durante l’allestimento del palco per il concerto di Radio Bruno all’avvocato Dattilo è letteralmente scappato da ridere.

«Trovo quello odierno uno “scandalo” risibile. Per forza si sono rotte. Hanno voluto cambiare a tutti i costi le pietre originarie – ricavate a mano partendo da blocchi di granito – con queste “piastrellone” tagliate a macchina, molto più sottili delle originali. Si è ottenuto l’effetto cracker: basta un niente perché si spezzino».

Avvocato, nonostante siano passati quattordici anni, ancora non è riuscito a digerire questa sostituzione? 

«E mai lo farò. Mi tocca vederle ogni mattina e d’inverno, quando c’è umido, l’effetto scacchiera è ancora più evidente e più brutto. Questo spazio venne concepito e disegnato da Lotario Tomba che a fine Settecento non solo progettò il magnifico palazzo del Governatore ma diede un nuovo assetto a tutta la piazza, ricollocando i cavalli e sostituendo il cotto originario (risalente al periodo sforzesco) con una nuova pavimentazione che facesse da elemento di congiunzione. Fu una straordinaria opera di arredo cittadino. Creò un tappeto composto da tremila pietre … »

Un tappeto su cui sembra che qualcuno abbia spento delle sigarette, lasciando evidenti bruciature …

«Faccio mio il paragone! Abbiamo un palazzo insigne come il Gotico (costruito nel XIII secolo), due cavalli che sono fra le più pregevoli statue equestri del barocco italiano, un elegante e maestoso palazzo del Governatore. Elementi legati fra loro dalla pavimentazione disegnata dal Tomba. E’ indubbio il valore storico monumentale di quest’assieme. Non bisognava rimuovere nulla. Le pietre che erano ammalorate, scheggiate, andavano riparate, non tolte e sostituite. C’erano a disposizione resine ed altri materiali che avrebbero permesso di aggiustare le rotture senza togliere le lastre originarie. Era forse una delle poche piazze al mondo giunte integre dal Settecento ad oggi».

Lei crede che si sarebbe ottenuto un buon risultato riparando anziché sostituendo?

«Le faccio un esempio. A Milano, in piazza Duomo c’è una scalinata ottocentesca che porta ad un piccolo sagrato. E’ in pietra ed è meno importante, storicamente, rispetto alla nostra piazza. Ebbene siccome un po’ di pietre si erano rotte sono intervenuti incollandole, riparandole. Da noi invece si scelse di toglierle e sostituirle con pietre diverse».

La cava delle nuove pietre non era però la stessa di quelle antiche?

«Al di là della cava, c’erano enormi differenze. Le pietre originarie erano estratte e scalpellate a mano partendo da grossi blocchi ed avevano uno spessore di circa venti centimetri. Le cose, allora, le facevano bene, se lo lasci dire da uno che discende da una famiglia di scalpellini! Quelle messe nel 2009 sono alte otto centimetri: io le chiamo piastrelle. Sono state tagliate e a macchina, con il filo diamantato. Probabilmente il diverso processo di estrazione e taglio ha fatto sì che il colore delle lastre sostitutive fosse totalmente difforme da quelle dell’epoca di Tomba. Sono anche più lisce, più regolari e questo vuol dire che riflettono la luce in modo completamente diverso. Come dicevo sono delle piastrelle e pure fragili, come dimostra quanto successo l’altro giorno, in occasione del concerto. Quelle antiche sono sopravvissute due secoli e mezzo, queste dopo una manciata d’anni sono già rotte».

All’epoca la sua “crociata” guadagno pagine di giornale, approdò in tribunale, ma non portò a nulla. Come mai?

«A metà gennaio del 2009, la monumentale piazza dei Cavalli, cuore della città di Piacenza, venne completamente cintata e chiusa per l’esecuzione di lavori sulla pavimentazione, definiti dall’amministrazione comunale come “di manutenzione”. Con alcuni amici mi ribellai a quest’idea ed alla fine presentai un esposto in procura. I lavori erano coordinati dall’assessore “alle infrastrutture, qualità viabilistica, degli edifici e del verde urbano”, Ignazio Brambati ed erano stati assegnati ad una ditta che aveva vinto l’appalto con un ribasso del 13,80%. Il cantiere terminò circa cinque mesi dopo, a maggio. Non fu una semplice manutenzione ma un profondo restauro della piazza che portò alla sostituzione di 227 lastre su circa 3.000. Ci furono interpellanze in consiglio comunale, articoli di giornale. Noti esperti d’arte e restauratori definirono questa sostituzione di pietre inutile, visto lo stato della pavimentazione storica. Fra loro c’erano anche il prof. Bruno Zanardi, titolare della cattedra di restauro all’Università di Urbino e l’attuale sottosegretario alla cultura e critico d’arte l’on. Vittorio Sgarbi. La sostituto procuratore decise di archiviare il mio esposto. Io mi opposi ed il gip ordinò nuove e più approfondite indagini. Non so se e quali aspetti vennero approfonditi. Lo stesso giudice cambiò idea ed alla seconda udienza acconsentì a che si procedesse con l’archiviazione».

Non fece appello o non proseguì imboccando altri percorsi giudiziari?

«Avrei potuto, ad esempio chiamando in causa la Corte dei conti. Rischiava di essere una battaglia in solitario quando ormai il danno era fatto. Quindi lasciai perdere».

Dopo circa un anno il sindaco Reggi fu costretto ad ammettere, davanti all’evidenza, che il colore delle nuove pietre era effettivamente diverso. In tutto questo la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Parma e Piacenza – a cui spetterebbe proprio il compito di difendere l’integrità dei beni culturali – dove era? Cosa faceva?

«Come scrissi nell’esposto la Soprintendenza diede il suo avallo all’operazione, secondo me, venendo meno ai doveri conservativi, che sono propri dell’ufficio. Si permise un incredibile patchwork lapideo che portò a minare l’originalità della piazza, arrecando, un danno gravissimo. Aggiungo che durante la lavorazione con i macchinari alcune pietre antiche, assolutamente integre, sollevate o spostate, si ruppero o si scheggiarono.  Venne detto che con il tempo le pietre sostitutive avrebbero assunto il colore di quelle storiche. Invece la differenza è diventata ancor più evidente. Venne anche rimossa una pietra di enorme valore storico».

A che pietra si riferisce?

«C’era, vicino al cavallo, una lastra con incisa una data. Come saprà il dieci 10 Giugno 1859 i dominatori austriaci lasciarono Piacenza (8.000 soldati uscirono dalla città, attraverso le Porte Fodesta e Borghetto comandati dal generale Gyula ndr). Alcuni piacentini corsero ad abbattere le insegne imperiali sparse su vari edifici cittadini e le portarono in piazza Cavalli. Qui le distrussero con l’aiuto di un pesante maglio che a furia di essere calato sul selciato fece abbassare una pietra di alcuni centimetri e la danneggiò superficialmente. Su quella lastra venne inciso ad eterno memento l’anno 1859. Ebbene anche questa pietra che era un pezzo importante di storia è stata tolta dalla sua originaria collocazione».

Dove è finita?

«Mentre non so molto delle altre pietre rimosse questa è conservata a palazzo Farnese. Però non è più nella sua posizione originaria dove era un visibile documento storico. Per me tutta l’operazione è stata un atto di insensibilità verso una città bellissima. A Firenze, in piazza della Signoria, dove era rimasto solo il 30% della pavimentazione originaria non per aver sostituito, ma solo girato sotto sopra le pietre del selciato, gli amministratori vennero condannati in primo e secondo grado, salvo poi guadagnare una miracolosa assoluzione in Cassazione: due condanne per averle girate, non tolte e sostituite come da noi».

Ormai avvocato quel che è fatto è fatto. Lei è costretto a vedere questa piazza maculata e non ha la possibilità di “smacchiare il giaguaro”, come direbbe un famoso politico concittadino.

«Non è del tutto vero. Una soluzione ci sarebbe».

Cercando altre pietre nella cava?

«Gli autori del restauro alla fine dovettero ammettere che qualcosa era andato storto. Si parlò di una improbabile ricerca di differenti filoni nelle cave di granito di Montorfano ed anche di costosi studi petrografici. Non venne fatto nulla di concreto per rimediare. Con gli amici Domenico Ferrari Cesena, Giorgio Milani, Paolo Milani e Stefano Pareti lanciammo, con tanto di rendering computerizzato, una proposta di autotrapianto che venne purtroppo fatta cadere nel vuoto».     

Cosa intende con autotrapianto?

«L’idea che lanciammo era di trovare nel corpo stesso della città il rimedio, almeno al danno estetico. Esattamente come succede davanti ad una grave ustione umana, dove si raccolgono e trapiantano lembi di pelle da altre parti del corpo per rimediare al deturpamento, così le nere cicatrici della piazza potrebbero essere curate con l’utilizzo di lastre di granito di Montorfano (all’incirca della stessa epoca e lavorazione di quelle della piazza) che si trovano sparse in numerosi marciapiedi di Piacenza».

Esistono pietre simili a quelle della piazza nelle vie cittadine?     

«Ce ne sono molte. All’epoca facemmo un censimento sommario. Sono convinto che se ne troverebbero quante servono per sostituire le 227 lastre tolte nel 2009. Hanno la stessa larghezza e si potrebbero adattare in lunghezza, affidando il lavoro non a macchine ma a bravi artigiani scalpellini. Sarebbe un paziente mosaico ma permetterebbe un effetto complessivo ottimo, con pietre che riflettono nello stesso modo la luce, che hanno colorazioni simili e che sono state lavorate nel medesimo modo. Si potrebbe guarire miracolosamente la piazza dall’effetto carbonchio che oggi la deturpa».

Perché nessuno ha mai preso in considerazione la vostra idea?

«Non so risponderle. Continuo però a sperare che qualcuno, prima o poi, voglia porre rimedio a questo che per me rimane un esempio di grave sciatteria culturale».

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Carlandrea Triscornia
Giornalista professionista si è laureato in giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Ha inoltre ottenuto il Diploma in Legal Studies presso la Cardiff Law School - Università del Galles (UK). Ha iniziato la sua carriera come collaboratore del quotidiano di Piacenza Libertà. Dopo un corso di giornalismo radiotelevisivo ha svolto uno stage presso l’emittente Telereggio divenendone prima collaboratore e poi redattore. Successivamente ha accettato l’incarico di direttore generale e direttore editoriale di Telecittà emittente regionale ligure, dove ha lavorato per tre anni. E’stato quindi chiamato dalla genovese Videopiù ad assumere il ruolo di responsabile delle sedi regionali di SkyTG24 affidate in outsourcing alla stessa società. Trascorsi cinque anni è rientrato nella nativa Piacenza avviando una attività imprenditoriale che lo vede tuttora impegnato. Ha fondato PiacenzaOnline, quotidiano di Piacenza di cui è direttore responsabile. Ha collaborato con l’Espresso e con Avvenire oltre che con Telemontecarlo - TMC News come corrispondente dall’Emilia ed ha lavorato come redattore presso Dodici-Teleducato Parma. Appassionato di Internet e di nuove tecnologie parla correntemente inglese. Sposato, ha due figli.

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