“Famine”, l’esordio letterario della scrittrice Elisa Braghieri scava al fondo dei disturbi alimentari

“A tutti coloro che hanno camminato nel buio”. Con questa dedica si apre il libro Famine della giovane scrittrice piacentina Elisa Braghieri, presentato oggi nella sontuosa cornice di Villa Raggio a Pontenure, alla presenza del sindaco di Pontenure Manola Gruppi, della docente Ida Copes e di Marina Grigolo e Giulia Roverato, referenti dell’associazione Alice per i Dca.

Un libro autobiografico, ma anche di denuncia, in cui l’autrice ha messo in campo tutta se stessa e, con coraggio, ha affrontato senza sfumature di maniera lo spinoso tema dei disturbi del comportamento alimentare, senza tralasciare il contesto sociale in cui questa diffusissima patologia trova terreno fertile per mietere vittime.

“Questo libro nasce come esigenza di mettere su carta determinate emozioni che non riuscivo a gestire” – ha spiegato la scrittrice, il cui intervento è stato moderato dalla giornalista di Libertà Antonella Lenti. “Lo scritto ha preso corpo parimenti all’esigenza di passare dal sopravvivere al vivere, superando la paura del giudizio degli altri. Ma la difficoltà vera e’ stata nel trovare il coraggio di pubblicare qualcosa che raccontasse il mio dolore, oggettivandolo davanti a me e rendendolo potenzialmente ancora più pericoloso. Sono riuscita nell’intento solo al termine di un percorso di consapevolezza che mi ha portato ad accettare quello che sono oggi, senza per forza bramare più di quanto possa dare in un dato momento.
Spero possa oggi il libro essere una voce per tante persone che si sentono nella stessa condizione. Affrontare da soli il problema significa perdere in partenza – spiega l’autrice per la quale l’incontro con il centro per i disturbi del comportamento alimentare a Padova è stato essenziale:

“Inizialmente le uniche risorse su cui potevo contare, mi portavano a un isolamento senza confronti. Ma quando ho toccato il fondo, ho contattato il centro per i Dca e ho imparato nel tempo a presentarmi alle persone per quello che ero. Diventava importante che le persone che mi circondavano mi accettassero nella mia totalità. Gli amici su cui posso contare hanno sempre visto in me la persona prima del problema.
La spinta che mi ha portato al cambiamento e’ stato il bisogno di ritrovare l’amore. Preferisco mille volte soffrire perché provo emozioni al cento per cento, piuttosto che rimanere vittima dell’apatia che mi ha accompagnato per diversi anni. Perciò ho deciso di andare avanti, cercando di dare e ricevere amore”.

 

Famine, la protagonista del libro, si difende dalla vita, non la vive. Ne è vittima. Ma non perde mai la speranza, evolvendo dalla speranza irrazionale nei confronti di una cura immediata e miracolosa, in grado di cancellare un passato di dolore, alla disperazione razionale, per giungere finalmente alla consapevolezza che non esiste percorso di cura che possa interamente essere delegato ad altri perchè “una infinita notte è meglio di una giornata di sole“.

Doveroso dunque, assumersi in prima persona la responsabilità della propria cura: “Il dolore che provavo non era sostenibile per un’altra persona. Per questo ho iniziato a scrivere. Ho rivisitato i miei rapporti, compresi quelli famigliari. Le persone sono determinanti ma non imprescindibili. Il benessere parte sempre da se stessi, la felicità parte da te, non dagli altri. Chi è tutto concentrato sul problema del cibo, perde di vista tutto il resto. A posteriori diventa commovente riconquistare il piacere per quelle cose quotidiane che apparivano insignificanti”. Il giornalista (di cui la protagonista si innamora, n.d.r.) non è un classico principe azzurro, ma colui che riesce a soffermarsi sui singoli aspetti, facendo propria l’inadeguatezza di Famine e imparando a crescere a sua volta. L’autenticità e’ la chiave di volta. “Chi non ha maturità sufficiente per trasmettere – prosegue la Braghieri, certamente non l’avrà per accogliere quello che si trova davanti”.

Non poteva mancare, nella trattazione del tema dei disturbi alimentari, che coinvolge in misura considerevole i nostri adolescenti, un giudizio sul sistema educativo e scolastico che troppo spesso disattende se non direttamente alimenta le cause che producono l’insorgere del disturbo, in una cornice in cui troppo spesso i professori si ritrovano totalmente impegnati sul versante didattico, tralasciando e dimenticando il vero loro vero compito, che come ha sottolineato la docente Ida Copes, insegnante di lettere della Braghieri alle medie, rimane quello di far star bene i nostri ragazzi. Poi i risultati andranno di conseguenza. “Elisa – che ho avuto il piacere di conoscere quando frequentava la scuola media – scriveva non per necessità ma per passione. Se non abbiamo amore per le cose, nulla ci piace e nulla ci gratifica.Leggendo il libro ho capito la sua sofferenza. La vita è fatta di degradazioni e rigenerazioni. E spesso la rigenerazione e’ amore. Passione di scrivere, passione di esternare. La nostra gioventù e’ fragilissima, i giovani hanno tante risorse ma faticano a trovare le forze. E’ una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto così come arrendersi per un solo fallimento. Spesso la leva per andare avanti e’ l’amore e credo che lei l’abbia ritrovato”.

Dal canto suo, Elisa non ha remore a sottolineare quanto l’esperienza di studentessa al liceo classico abbia influito negativamente sul dilagare del disturbo, lanciando un appello ad aver maggior cura dei segnali di aiuto che arrivano dagli studenti:”Mi spiace doverlo ammettere ma la scuola ha disatteso il suo compito. Non mi ha dato nulla e tanto mi ha tolto. Mi hanno insegnato che la pecca di uno era virtù dell’altro. La scuola ha avuto diverse segnali di aiuto da me e da alte persone. Ma non li ha colti, per esigenze di programma.
Non ho ritirato il diploma e non ritornerò mai più in quel liceo.
Sono stata arricchita a livello curricolare, ma non mi ha trasmesso alcuna passione. Anzi me l’ha tolta. Per questo non la perdono”.

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