Sant’Antonino: una fiera con molta tradizione ma “poca anima”

Nonostante i tanti visitatori che (forse per abitudine) la frequentano la manifestazione sembra aver perso la sua originalità ed assomiglia sempre più ad un qualunque mercato rionale

Affonda le sue radici nel medioevo la fiera di Sant’Antonino che si sviluppava originariamente intorno alla chiesa, una fra le più antiche di Piacenza ed anche nel secolo scorso le bancarelle erano disposte nella adiacente piazza, in via Scalabrini, via Verdi, via Giordani e nelle vie limitrofe per poi spostarsi sul Facsal (in quest’edizione gli ambulati presenti erano circa 300).

La fiera era, ed è rimasta per secoli, l’occasione per gli abitanti di ammirare e comprare merci difficili da reperire nella quotidianità. «Da sempre – scriveva Fausto Fiorentini – alla fiera di Sant’Antonino si trovano cose che non si trovano da nessuna parte … ».

Un’originalità che col passare delle edizioni è andata consumandosi e che oggi si fatica a ritrovare, girovagando sul Pubblico Passeggio.

I piacentini continuano a frequentarla numerosi perché così si è sempre fatto … ma tanti sono convinti che la manifestazione abbia ormai perso la sua vera “anima” e che sia difficile distinguerla da un normale mercato settimanale (con il quale peraltro condivide un discreto numero di banchi).

C’era ben poco di “esotico” in questa edizione 2023 ed anche gli “imbonitori”, figure immancabili, capaci di trasformare inutili attrezzi in “must have”, erano pochi e sottotono.

Le grattugie ed i frullini multifunzione, gli scopettoni estensibili per le ragnatele, i panni magici al carbonio per i vetri, il mocio rotante ci accompagnano ormai da oltre un decennio.

Neppure “novità” come la lampada solare richiudibile, il gioco crazy fish per gatti o il rasa-capelli effetto vintage, offerto a 10 euro al pezzo, riescono ad avere un effetto WOW tale da ammaliare i visitatori.

E’ pur vero che nell’epoca dei social, della globalizzazione, dell’e-commerce e della fast fashion, diventa difficile stupire le persone.

Continuando su questa strada però la fiera rischia di diventare mortalmente noiosa ed a quel punto neppure il profumo di salsiccia e cipolla o quello della porchetta di Ariccia saranno più un incentivo sufficiente per attrarre visitatori.

L’inusuale ed il diverso hanno decretato il successo del Mercato Europeo di settembre o del Mercato del Forte (ed anche qui la ripetizione, a lungo andare, non giova).

Invece così com’è, un po’ sempre uguale a sé stessa, Sant’Antonino fa presa sugli habitué – che la frequentavano da bambini e faticano a disabituarsi – ma esercita assai meno fascino sulle generazioni più giovani.

I boomer di oggi quando erano bambini avevano mille stimoli olfattivi e visivi, mille tentazioni che imprimevano indelebilmente nella memoria la fiera come momento imperdibile. Invece ora, pensateci, niente zucchero filato, pochi banchi di dolciumi, nessuno di giocattoli, nessun banco di prestigiatori ed affini, nessun venditore di pesci rossi, nessun gioco con le scatole misteriose ed i premi, nessun fischietto di terracotta con l’acqua. Dov’è sono finiti gli assembramenti di curiosi davanti ai banchi? Dove è finita la poesia?

Al pari delle casette di Natale in piazza Cavalli la fiera del 4 di luglio meriterebbe di essere ripensata ritrovando un carattere unico che la renda diversa da un qualunque mercato rionale. Si fece una dozzina di anni fa con i decadenti “Venerdì Aperti”, trasformati nel successo dei Venerdì Piacentini. Lo si può fare anche con la Fiera di Sant’Antonino. Basta aver il coraggio di saper cambiare.

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