Se in Italia non ci sono sufficienti mascherine è (anche) colpa della burocrazia

Nonostante un tentativo di semplificazione l'importazione di mascherine resta complicato, con il rischio di requisizione. Peccato che in Cina ci siano migliaia di maschere pronte che potrebbero arrivare in Italia in meno di una settimana

Immaginate di essere un volenteroso imprenditore e di voler importare qualche migliaio di mascherine per i vostri operai, oppure di essere una fondazione benefica e di voler acquistare DPI da donare a una casa di riposo o ad un hospice.

Pensate che il problema sia trovare le mascherine sul mercato? Non è così. In Cina ci sono centinaia di aziende con mascherine in stock pronte per essere spedite in Italia.

Non è difficile trovare mille ma anche diecimila o ventimila maschere pronte per essere immediatamente caricate su un aereo. Potrebbero arrivare a Milano dopodomani.

Per quantitativi maggiori diciamo 30 mila, 40 mila ci vorrebbe qualche giorno in più per permetterne la produzione.  Diciamo una settimana oltre al trasporto.  Non stiamo parlando per sentito dire. Abbiamo preso contato diretto con aziende produttrici (e possiamo fornire tutti i contatti).

Peccato però che poi tutto si impantani nella solita burocrazia italiana che nemmeno l’emergenza riesce a sconfiggere fino in fondo.

Sì perché le mascherine (tralasciando quelle chirurgiche) sono considerate Dpi (dispositivi di protezione individuale) e quindi devono seguire un lungo iter prima di essere immesse sul mercato. Fino a qualche giorno le procedure per l’importazione erano ancora più complicate. Ora sono state rese più snelle dal decreto legge del 17 marzo che ha affidato l’omologa in deroga all’Inail.

Il sistema resta però farraginoso e lento e non si riescono ad avere chiarimenti da parte di nessuno.

Non c’è anima viva che risponda al telefono di Roma indicato sul documento ufficiale in cui è spiegata la procedura. Nessuno allo stesso modo risponde alla email fornendo chiarimenti.

La procedura prevede che l’importatore invii ad un indirizzo Pec un’autocertificazione accompagnata da documentazione tecnica, foto, disegni. La maggior parte dei produttori o distributori cinesi però è in grado di fornire solo il certificato CE/FDA e non tutta la documentazione richiesta dall’Inail.  Oltretutto la difficoltà nel contattare gli uffici di Roma rende difficile verificare in anticipo se le carte ottenute al produttore siano sufficienti ad ottenere il via libera.

Bisogna invece inviare una Pec con un’autocertificazione (ed entro 3 giorni eventuale altra documentazione). Dopo altri tre giorni un’apposita commissione dell’Inail dovrebbe rilasciare un parere favorevole o negativo. Non è chiaro peraltro cosa succeda nel caso in cui l’Inail sia in ritardo.

A questo punto l’imprenditore ha due scelte: può avviare comunque l’importazione con il rischio di non poter mai commercializzare le mascherine oppure può fare la procedura in anticipo con il rischio che quando gli arriva i via libera dell’Inail lo stock non sia più disponibile.

Viste le attuali quotazioni, ogni importazione equivale a decine di migliaia di euro e dunque il rischio che le mascherine restino bloccate in dogana è enorme.

Tra l’altro il Decreto Salva Italia prevede anche la possibilità che la Protezione Civile requisisca agli importatori le mascherine pagandole (chissà quando) alla quotazione del dicembre 2019, un prezzo oggi assolutamente non realistico ed inferiore a quello pagato.

Il risultato è che tanti – pur potendolo fare – rinunciano all’importazione ed intanto (tralasciando il personale ospedaliero che teoricamente le riceve dalla Protezione Civile) gli operatori delle case di riposo, gli operai delle fabbriche, la gente comune, i commessi dei supermercati restano senza mascherine … quando basterebbe poco per averle.

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