Il vescovo di Piacenza: “Diamo voce alle buone notizie che ci circondano”

E’ l'invito di mons. Adriano Cevolotto alla messa per la festa del Patrono. Assegnato ai coniugi Carioni il Premio Antonino d’Oro

“C’è tanto bene che non fa notizia, bene compiuto non da supereroi, ma da persone normali che ci testimonia che si può affrontare la vita con fiducia, in modo positivo, costruendo e non distruggendo”.

È questo, in sintesi, l’invito espresso quest’oggi, 4 luglio, dal vescovo mons. Adriano Cevolotto nell’omelia alla festa del patrono Sant’Antonino nell’omonima basilica.

Le sue parole prendono spunto dall’assegnazione del premio Antonino d’Oro ai coniugi Lodovica Ghezzi e Mauro Carioni, della Casa Famiglia Santa Lucia di Caorso, legata alla Comunità Papa Giovanni XXIII, realtà fondata da don Oreste Benzi.

È una tradizione – ha detto in sintesi il vescovo – ritrovarsi ogni anno per la festa del Patrono, ma “perché la tradizione non scada in abitudine è necessario recuperare il significato simbolico di questa festa”, una festa che ci richiama a interrogarci su come abitiamo il nostro tempo e gli spazi, quali sono i nostri riferimenti ideali, le scelte che ciascuno mette in atto, le relazioni che si costruiscono o che vengono compromesse”.

“L’Antonino d’Oro – ha evidenziato mons. Cevolotto – non vuole indicare persone e testimonianze eccezionali. Non siamo in presenza di supereroi, ma di persone assolutamente simili a tutti noi” che hanno consegnato la vita a Dio e sono stati capaci di compiere scelte di amore, aprendo le porte della propria casa a chi ha bisogno, a quelli che definiamo casi disperati e a quanti la nostra società troppo frettolosamente tende a scartare”.

Il Vescovo ha messo l’accento su come si guarda alla realtà, su come la si legge e la si affronta. Uno stesso fatto può essere visto, capito e raccontato in modo molto diversi.

“Del fatto storico del martirio di Sant’Antonino – ha esemplificato – si può mettere l’accento sulla sua uccisione oppure sul suo coraggio di rimanere fedele a scapito della sua stessa vita”. “Gli esempi nella cronaca giornalistica – ha proseguito mons. Cevolotto –  sono tanti: un gesto violento fa più notizia dell’individuazione e dell’arresto del colpevole. Lo spopolamento della montagna merita più attenzione dei coraggiosi giovani che scommettono sul futuro della montagna”.

“È molto facile oggi – ha detto ancora il vescovo – continuare a dare risalto a fatti (reali) negativi che accentuano lo sguardo preoccupato sul presente e sul domani. Il male reale e quello percepito non sono la stessa cosa eppure la percezione condiziona il senso di sicurezza, alimenta o riduce la fiducia, determina scelte coraggiose o piuttosto paralizza decisioni che generano futuro”. I colpevoli non solo i comunicatori “perché c’è una domanda diffusa di cronaca nera e la tendenza ad aggiungere nei nostri discorsi lamento e denunce che fanno prevalere il senso di sfiducia e di tristezza. Noi stessi non siamo ricercatori di buone notizie. O di notizie incoraggianti. Eppure noi siamo discepoli del Vangelo che alla lettera è «La buona notizia». Buona notizia dentro lo scorrere di una storia che è tutt’altro che la riedizione del libro Cuore”. Il Vangelo aiuta a leggere la realtà in un modo diverso e ad “assumerci tutti l’impegno di dare voce alla cronaca buona che ci circonda”.

L’esperienza di Mauro e Ludovica, “come tante altri fratelli e sorelle che si riconoscono nel carisma proposto da don Oreste Benzi, fanno di una famiglia una casa e una casa, con le porte aperte, diventa famiglia per chi non può dire di avere una famiglia. Possiamo scommettere sulla possibilità di creare reti di sostegno tra famiglie, a condizione di combattere la presunzione di poter bastare a sé stessi. Perché ciascuno cerca casa e famiglia oltre il proprio appartamento”.

Oggi sono si assiste ad un amaro elenco di storie relazionali e familiari senza prospettiva, al fenomeno della denatalità che prima che essere un fatto biologico è paura di riuscire a sostenere l’incertezza del futuro perché ci si sente troppo soli. “Diventare generativi, cioè capaci di dare vita – ha puntualizzato mons. Cevolotto, – è la sfida per tutti”.

Il Vescovo ha ringraziato i rappresentanti delle diverse confessioni e di altre religioni presenti alla messa: “hanno accettato di condividere la festa della città. Li vogliamo partecipi di questo grande spazio umano, perché con loro stiamo disegnando un volto inedito della nostra città e del suo territorio. Da vivere e da consegnare alle nuove generazioni”.

Hanno concelebrato con mons. Cevolotto il vescovo emerito mons. Gianni Ambrosio e mons. Félicien Ntambue Kasembe, vescovo di Kananga e amministratore apostolico di Kabinda in Congo. Con loro, numerosi sacerdoti e don Giuseppe Basini, parroco di Sant’Antonino e vicario generale della diocesi.

Il grazie dei coniugi Carioni

Al termine della celebrazione, è stato consegnato il Premio Antonino d’Oro ai coniugi Lodovica Ghezzi e Mauro Carioni. Il riconoscimento, assegnato dal Capitolo dei Canonici della Basilica del Patrono, è sponsorizzato e patrocinato dalla Famiglia Piasinteina.

“Possiamo testimoniare – hanno detto nel loro intervento i coniugi Carioni – che vivere in famiglia è un’esperienza molto positiva. La famiglia oggi è spesso messa in discussione ma la società più che mai ne ha bisogno. Ciascuno di noi ha diritto di vivere in una famiglia, soprattutto fino a quando è nella fase della crescita e dello sviluppo. Don Oreste Benzi ci ha sempre ricordato che «Dio ha inventato la famiglia per rispondere ai bisogni fondamentali delle persone».  Chiediamo a tutti di impegnarsi per rendere effettivamente la famiglia quale deve essere: cellula fondamentale della società. Chiediamo alle autorità civili che a quelle religiose di investire risorse per aiutare ogni famiglia a svolgere appieno il proprio mandato”.

“Chi si apre all’accoglienza – hanno aggiunto – costruisce umanità, costruisce una società migliore. Nella nostra «casa famiglia» abbiamo accolto tanti bambini e ragazzi che hanno subito la prepotenza, l’immaturità degli adulti. Adulti che li hanno maltrattati, tradito la loro fiducia, impedendo loro di crescere serenamente perché molte volte non avevano loro stessi un modello buono a cui attingere. Abbiamo incontrato anche tanti giovani responsabili, attenti al prossimo, ricchi di sogni e di belle iniziative. A tutti abbiamo cercato di dare il meglio che siamo riusciti, anche sbagliando tante volte, ma abbiamo fatto di tutto per essere al loro fianco”.

“Gesù – hanno concluso – è il nostro modello, il nostro metro di misura. Lui ha perdonato le offese, ha accolto tutti, ha fatto dell’obbedienza a Dio la base fondamentale della Sua vita”.

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